Mio padre raccoglieva i frutti delle palme. Si arrampicava senza corda ma un giorno cadde e batté la testa. Iniziò a bere. Quando lo sentivamo scivolare sulla ghiaia, a notte fonda, io e i miei fratelli ci stringevamo sotto la coperta. Nostra madre era troppo grande e non poteva nascondersi. Doveva dividere con lui il letto e la malattia.
Ci portò a Manguinhos, in una stanza senza finestre. La porta era una tenda di plastica a fiori rossi. Ci sedemmo a terra. Disse che i ragazzi sarebbero andati alla discarica e noi avremmo aiutato le altre donne del quartiere. Facevamo la spesa e portavamo i loro figli a scuola, tenendoli per mano lungo le strade di fango e asfalto, fino al grande palazzo rosso e alle case dei ricchi. La domenica, dopo la messa, io e i miei fratelli seguivamo le ballerine sulla collina. Ci insegnavano a stare sulle punte, ma a mio fratello Javi non piacevano quelle cose. Passava il tempo a disegnare, seduto sul bordo della strada, con le gambe penzoloni sulla città.
Quel giorno si vedeva il mare. Il sole era quasi sparito. La luna era piccola e piena. Gli dicevamo vieni, bicha! e lui si alzò. Le ballerine gridarono, ci buttammo a terra. Due uomini correvano lungo la collina, scivolando sulla ghiaia. Avevano pistole nere e lucide come i loro capelli.
Mia madre mi prese le mani e disse che Javi era ancora con noi. Io non ci credevo. Per me ormai lui era solo una foto. Allora mi fece sdraiare sul pavimento e mi disse di chiudere gli occhi. Con delle forbici mi tagliò le ciglia e i capelli. Mi spogliò e mi rivestì. Ci mise accanto. Avevo i suoi stessi occhi. Ero diventata lui.
Da quel giorno andai alla discarica. Indossavo i suoi grandi guanti bianchi e non parlavo con nessuno. Quando il sole si faceva troppo forte, mi sedevo sotto una tettoia e guardavo le macchie e i graffi lasciati da quello che avevo toccato cambiare e infittirsi giorno dopo giorno, come una rete di cicatrici. Se iniziava a vedersi la stoffa dovevo portarli al capo. Mi avrebbe detto che non valevo niente. Mi avrebbe dato un calcio e sarei tornata a lavorare.
Quando accadde, disse che solo una stupida scimmia poteva averli consumati così in fretta. Con i miei guanti nuovi e la testa bassa andai dove arrivavano i camion. Era il tempo del carnevale e sentivo che avrei trovato un vestito, il più bello che avessi mai visto. Lo avrei tirato fuori con i guanti puliti. L’avrei indossato e sarebbe stato proprio della mia misura. Avrei seguito la musica lungo le strade che portano al mare, mi sarei confusa tra la gente e qualcuno mi avrebbe fatta salire su uno di quei grandi carri. Trovai invece due bombolette. Uscita dalla discarica, andai alla collina e sull’asfalto a strapiombo sulla città scrissi il suo nome.
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